IL CARDINALE BARBARIGO E M. CECILIA BAIJ: DUE TENTATIVI DI RIFORMA Ma a quanto sembra l’impegno della spezieria non era stato sufficiente a sottrarre le religiose da un ozio pericoloso se nel 1687, quando giunse a Montefiascone il nuovo vescovo Marco Antonio Barbarigo, vista la grande rilassatezza che regnava nel monastero, pieno di zelo per le anime delle religiose e per il decoro dell’Ordine, volle porvi salutare rimedio40. La situazione che trovò in S. Pietro e la sua pedagogia pastorale si intravedono tra le righe delle Ordinazioni e Decreti fatti in Visita dall’Em.o e Rev.mo Card. S. ta Susanna Vescovo di Monte Fiascone e Corneto per il Monastero, e Monache dell’Ordine di S. Benedetto di Monte Fiascone – data in S. Visita questo dì 22 settembre 1688. Ad es. egli proibisce – e la cosa ci fa arguire in S. Pietro la presenza di donne di ceto e censo elevato, che vogliono conservare e conservavano di fatto qualcosa di uno stile secolaresco – di «avere o portare addosso medaglie grandi d’argento di filigrana, guanti, scarpette attillate, ed altri simili vanità secolaresche; così molto meno tenere in camera strumenti musicali, specchi, quadri con comici indorate ed altri vani abbigliamenti»41. In particolare il Cardinale invitò le religiose alla stretta osservanza del voto di povertà e dei gradi di umiltà del settimo capitolo della regola di san Benedetto,
e proibì, tra l’altro, il vestire diversamente acciocché nella somiglianza dell’abito si riconoscano per vere sorelle in Cristo42. E inoltre sotto pene gravi, che le celle stiano sempre aperte, così di giorno che di notte, e che dato il segno della dormizione, debbano le decane omninamente a vicenda, e talora l’abbadessa accompagnata da una di loro, visitare tutte le celle, assicurarsi che tutte siano nei loro letti; ed incorrerà la pena della scomunica chi ardirà dormire accompagnata; e la stessa pena di scomunica, a Sua Eminenza riservata, incorrerà quella monaca che, dato il segno della ritirata, entrerà nella cella dell’altra senza licenza dell’abbadessa43. L’azione del Cardinale, volta a stimolare le Benedettine del tempo a non recedere dall’ascoltare le esigenze evangeliche della loro Regola appiattendosi sotto le pesantezze dei condizionamenti sociali, fu scarsamente recepita e non giunse a riformare in maniera adeguata il degradato tessuto socio-religioso nel quale Maria Cecilia Baij, a distanza di pochi anni, avrebbe comunque recuperato gli spazi per la sua mistica spiritualità. Quando il 12 aprile 1713, all’età di 19 anni, la Baij entrò nel monastero benedettino, vi trovò infatti un educandato ancora pieno di vanità: «Vestono – scriveva di loro mons. Pompilio Bonaventura – con qualche vanità, fettucce, abiti di seta ed altro; sopra di che le chiamai, le corressi e lo proibii loro per l’avvenire»44. Con il passare degli anni M. Cecilia riuscì a focalizzare con chiarezza l’obiettivo religioso al quale ambiva giungere per sé e per le consorelle: cioè quello dell’osservanza della “vita comune perfetta” tracciata dalle regole agostiniane. Se Maria Cecilia estese il suo apostolato al di fuori del Monastero a gloria di Dio ed al bene delle anime, dove però rifulse in modo speciale fu nel Monastero suo. E la prima cosa che desiderava tanto stabilire era la Vita Comune, che mancava nel Monastero. Fin dal 24 Ottobre 1731 scriveva al suo Confessore P. Guidi a proposito dell’argomento: «Subito comunicata ho detto a Gesù quello che riguardava la Vita Comune. In primo disse che è volontà sua che si faccia, ed il nemico si adopera con tutte le forze per impedirla. Adesso però, non essendovi disposizione alcuna nelle religiose, è necessario andarle a poco a poco disponendo»45. La scarsa disposizione delle religiose ad accettare il cambiamento palesemente affiora dalle osservazioni con le quali le stesse si opposero al progetto.
Non durerà / Patiremo molto, e chi avrà tanto e chi niente, né potremo cavarci una fantasia / Non potremo dare niente a i parenti, e si dovranno lasciare; come anche gli amici / Non potremo far più la carità / Non dà loro l’animo di portare indosso la roba di altri / Non lavoreranno le giovani, si prenderanno bel tempo, e le povere vecchie patiranno / Non ce l’abbiamo trovata, onde ci si rende difficile; sarà uno sconcerto da metterci in inquietitudini. M. Cecilia non rinunciò subito all’idea e in varie altre occasioni tentò di introdurre nella comunità le regole della “vita comune perfetta”, ma inutilmente, e alla fine «comprese che non conveniva più parlare di Vita Comune […]. Essa, come il suo Gesù, non doveva avere che contradizioni, e terminare la sua vita nell’umiliazione e sulla croce, senza mai vedere il compimento trionfale de’ suoi desideri»47. Bisognerà attendere il nuovo secolo, e precisamente il 28 giugno del 1802, affinché il sogno di M. Cecilia si realizzi. Quel giorno, infatti, ventiquattro monache si rivolsero al cardinale Jean Sifrein Maury chiedendo di poter aderire alle regole della “vita comune”. Maury, dopo essersi assicurato che gli introiti del monastero erano «non solo sufficienti, ma anche abbondanti», il 6 luglio dello stesso anno emise il decreto istitutivo48. Noi infrascritte doppo di aver conosciuto a lume di fede la perfezione ed il vantaggio della Vita Comune, tutte insieme alla presenza di Dio liberamente, spontaneamente e di buon cuore La desideriamo, La domandiamo istantemente, ed aspettiamo il felice momento che il degnissimo, veneratissimo Pastore nostro Signor Cardinale Maory [sic] L’introduca in questo nostro Monastero di S. Pietro come è stata introdotta in altri Monasteri di Benedettine. E a tale effetto domandiamo concordemente che siano chiamate due Religiose Benedettine di Vita Comune per sistemare nel miglior modo possibile detta Vita Comune [...] le quali fecero il loro ingresso li 7 Agosto e fu la M. D. M. Teresa Tofi di Roma e D. Costante M. Prioli Romana e le fu dato il grado doppo la M. Abbadessa e Vicaria e ottennero licenza di dimorarvi anni Tre. DI NUOVO «POVERE MONACHE» La “vita comune perfetta” era tuttavia destinata a durare poco in quanto, il 25 aprile 1810, Napoleone decretò la soppressione di tutti gli istituti, corporazioni, congregazioni, comunità ed associazioni ecclesiastiche di qualunque natura e denominazione. Il 15 giugno 1810, le tredici monache, una novizia e otto converse che erano presenti nel monastero furono costrette ad abbandonarlo.
[posto] nella Commissione degl’Inventari dei Luoghi Pii […] li eseguì con tutta alacrità, minacciò più volte anche in iscritto la violenza per entrare le Clausure Monastiche. Pose negl’Inventari anche gli oggetti supposti, e non trovati, affermando essere stati nascosti. Avido dei Beni della Chiesa fece sapere ad alcuni Coloni e Socci di alcuni Luoghi Pii che in avvenire non dovevano più portare le rendite al Luogo Pio53. E poi arrivò il fatidico anno 1870, con la soppressione dello Stato Pontificio e l’applicazione della legge Siccardi per l’abolizione del foro e delle immunità ecclesiastiche. Così, in data 20 settembre di quello stesso anno, la giunta municipale di Montefiascone decretava che: I Beni tutti stabili, mobili, semoventi del Seminario ed Ospedale, dei Conventi dei Minori Conventuali e Servi di Maria, dei Monasteri di S. Pietro e del Divino Amore, delle Maestre Pie, dell’Ospizio e dell’Orfanotrofio di Montefiascone, unitamente a tutti i diritti, azioni e ragioni spettanti ad essi Stabilimenti fina da questo giorno s’intendono rivendicati in favore di questo Municipio, e si dichiarano libera proprietà Comunale54. Di nuovo le monache dovettero abbandonare il monastero e ne rimasero fuori fino al 1905, anno in cui, con grandi difficoltà economiche e sacrifici personali, furono in grado di riacquistarlo. Il 2 giugno 1905 fu affisso il manifesto per l’asta pubblica per la vendita del monastero, che era stato ceduto dal Demanio al Comune il 3 maggio precedente. Il 21 novembre successivo fu acquistato da 19 donne (le monache stesse!) per 22.060 lire per la mediazione di Giuseppe Gori, il quale dichiarò: «che egli si era presentato all’asta per conto delle signore acquirenti sottonominate a favore delle quali, intendeva che fosse definitivamente aggiudicato»55. IL XX SECOLO Ma anche il nuovo secolo non risparmiò “oltraggi” materiali al monastero. Appena due anni dopo il ritorno delle monache, senza alcuna discrezione nei confronti delle legittime responsabili, «fu asportata da un ingegnere, come fosse cosa sua»56, la preziosa maiolica di Benedetto Buglioni che era conservata negli ambienti adiacenti alla chiesa.
fonte https://breccola.jimdofree.com/app/download/13683464427/Storia+breve+del+Monastero+di+San+Pietro.pdf?t=1545493491
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